ATTREZZATURE A PRESSIONE: FACCIAMO CHIAREZZA
La “materia” sicurezza sul lavoro nell’ambito dell’attività produttiva riveste un ruolo importante e molto vasto e le attrezzature a pressione ne sono una particolarità. Tale vastità è applicabile anche a tutte quelle attrezzature, che in regime di funzionamento, sono soggette a pressioni differenti da quella atmosferica per mezzo di un fluido di lavoro (liquido o gassoso). Il quadro normativo applicabile in Italia è ben identificato però di “difficile” lettura per una qualsiasi persona non esperta in sicurezza.
Questo perché i decreti legge a cui fare riferimento sono in totale 3, ovvero: D.Lgs. 311 del 1991 che regolamenta i recipienti a pressione semplici, D.Lgs. 93 del 2000 che è quello di recepimento e attuazione della Direttiva Europea 97/23/CE sulle attrezzature a pressione, D.M. 329 del 2004 che regolamenta norme per messa in servizio e utilizzazione delle attrezzature a pressione. Ovviamente quando si parla di attrezzature a pressione si intendono considerati anche gli insiemi (parallelismo alle “macchine”).
Andiamo con ordine.
Tutto “nasce” dal D.Lgs. 93/2000, conosciuto nell’ambiente come decreto di recepimento della normativa PED (Pressure Equipment Directive o Direttiva Apparecchi a Pressione): tale decreto si applica a tutte le attrezzature a pressione sottoposte a una pressione relativa superiore a 0.5 bar; va precisato però che questo decreto è molto più orientato verso i costruttori e riveditori che non agli utilizzatori. Il punto focale che serve anche agli utilizzatori sono gli allegati dello stesso, che specificano in base a due parametri fondamentali (pressione di esercizio e capacità), le categoria di appartenenza.
Questo poiché il D.M. 329/2004 sopracitato (nato a seguito della direttiva europea) prevede un iter di denuncia e controllo per tali attrezzature a seconda appunto della categoria di appartenenza; tale decreto prevede nella sua globalità una verifica di messa in servizio, una dichiarazione di messa in servizio (nel gergo chiamata “denuncia”), riqualificazioni periodiche (nel gergo chiamate “verifiche periodiche”), riparazioni e modifiche delle attrezzature a seconda delle categorie con annesse esclusioni dal campo di applicazione.
In base alle considerazioni fatte nasce un primo appunto fondamentale: i campi di applicazione dei due decreti non sono uguali pertanto, per esempio, un’attrezzatura non PED sarà sicuramente esclusa dai compiti enunciati nel decreto ministeriale 329 mentre non è garantito che un’attrezzatura PED ricada sicuramente nel campo di applicazione del decreto 329 stesso; è proprio in base alle categoria in cui ricade l’attrezzatura, l’elemento discriminatorio.
Un secondo appunto fondamentale da tenere in considerazione è quello della “parzializzazione” di applicazione del 329: sempre a titolo esemplificativo un serbatoio a pressione può essere assoggettato a dichiarazione (“denuncia”) di messa in servizio ma non alla verifica di messa in servizio.
Introducendo inoltre i serbatoi a pressione, si aggiunge un altro elemento discriminatorio. Infatti tali attrezzature rientrano nei recipienti a pressione semplici, regolamentati dal D.Lgs. 311 del 1991 citato a inizio articolo.
Tali recipienti non sono assoggettabili alla PED e non sono, al momento della loro costruzione, subito identificati con una categoria di appartenenza; questo si “scontra” con quanto invece afferma il 329 che fa ricadere, indipendentemente dalla loro “natura” (PED o NON PED), gli apparecchi sotto le categorie delineate dalla normativa europea.
In “soldoni” se ho un recipiente semplice a pressione, in base a pressione di esercizio in bar e capacità in litri, lo devo “categorizzare” secondo i grafici del D.Lgs. 93 del 2000 e risalire al tipo di verifiche specificate.
Pertanto, al netto di attrezzatura già rientrante nella PED, dovrò verificare tali parametri e stabilire quali adempimenti compiere; il decreto ministeriale 329 ha un campo di applicazione “particolare” (tenendo conto anche della “parzializzazione” sopra citata) e quindi la collocazione della attrezzatura deve essere scrupolosa.
Concludendo si elencano i casi di esclusioni più “notevoli” (ovvero quelli più comuni) rientrante nell’art. 2 del D.M. 329/2004 quali:
- tubazioni con diametro nominale ≤ 80 mm;
- recipienti semplici a pressione con capacità L ≤ 25 lt con pressione di esercizio qualsiasi;
- recipienti semplici a pressione con capacità compresa 25 ≤ L ≤ 50 e pressione di esercizio massima 12 bar.
Per qualsiasi dubbio e/o chiarimento in materia di sicurezza sul lavoro, Vi invitiamo a contattare il nostro Studio.